IL FENOMENO DELLA “ZOOM FATIGUE”

Durante il periodo di DAD (Didattica a distanza) insegnanti e alunni delle scuole elementari medie e superiori, così come professori e studenti universitari, sono stati costretti a seguire le lezioni attraverso piattaforme di comunicazione digitale come Zoom, Google Meet, Skype, Microsoft Teams, Webex.

Molte persone ritengono che passare ore e ore in videoconferenza sia davvero estenuante e stancante a livello mentale, al punto che è stato introdotto un nuovo fenomeno definito come “zoom fatigue”. L’espressione indica letteralmente “affaticamento da videoconferenza” e deriva dal termine “fatigue” che significa “stanchezza”, e dal termine “Zoom” che non è da ricondurre all’utilizzo della specifica piattaforma, ma è usato in maniera generalizzata per indicare tutti i software che permettono la comunicazione a distanza.

Bailenson (2021) in un articolo intitolato “Nonverbal overload: A theoretical argument for the causes of Zoom fatigue” dimostra che l’affaticamento da zoom deriva da uno sforzo cognitivo dato dalla mancanza nelle videochiamate di alcuni aspetti della comunicazione non verbale che sono fondamentali nelle interazioni faccia a faccia. Allo stesso modo Julia Skler nel suo articolo della National Geographic enfatizza come il problema principale riscontrato nella comunicazione attraverso le piattaforme digitali sia dato dall’impossibilità da parte dell’uomo di cogliere segnali non verbali che aiutano a “dipingere un quadro olistico di quello che viene veicolato e di quello che ci si aspetta in risposta dall’interlocutore”.  

Bailenson nello specifico individua quattro possibili cause che possono spiegare il fenomeno dell’affaticamento da Zoom: sguardo troppo ravvicinato, maggior carico cognitivo per l’elaborazione dei segnali, autovalutazione eccessiva e ridotta mobilità fisica.

Sguardo ravvicinato

“Su zoom, il comportamento normalmente riservato a relazioni strette, come lunghi tratti di sguardo diretto e volti visti da vicino, è improvvisamente diventato il modo in cui interagiamo con conoscenti casuali, colleghi e persino estranei”.

Bailenson: “Nonverbal overload: A theoretical argument for the causes of Zoom fatigue”

Nelle videoconferenze vengono violate alcune norme di comportamento non verbale che suscitano nell’individuo un certo disagio.

Bailenson spiega questa componente partendo con un parallelismo tra quanto avviene in una situazione di vita reale e quanto si verifica nella videoconferenza.

Prendiamo il caso dell’ascensore: in questo contesto le persone tra loro sconosciute sono costrette a stare particolarmente vicine, diminuendo la distanza interpersonale e violando di conseguenza la norma di comportamento non verbale che prevede una distanza interpersonale tra colleghi e sconosciuti che va dai 120 ai 360 cm. Nella videoconferenza si verifica una situazione simile in quanto, anche in questo caso, non viene rispettata la norma di comportamento non verbale, essendoci tra la persona seduta alla scrivania e lo schermo del pc una distanza di circa 50 cm.

Nell’ascensore, per colmare il disagio provocato da questa vicinanza “fisica” le persone possono adottare una strategia di compensazione che consiste nel distogliere lo sguardo dai volti degli altri, guardando in basso o contro le pareti dell’ascensore. Questa strategia non è però attuabile nel contesto della videochiamata. In una tipica riunione virtuale, l’interfaccia grafica della piattaforma utilizzata, che sia Zoom, GoogleMeet o Skype, obbliga ogni persona ad avere la visuale frontale di tutti i partecipanti, senza sosta. Di conseguenza è come se ogni partecipante stesse guardando direttamente negli occhi tutti gli altri interlocutori e colui che parla si sente con lo sguardo puntato su di sé per tutta la durata dell’incontro. Questa situazione è anomala, e non si verifica nemmeno nel caso delle conferenze svolte in presenza, dove i partecipanti seduti vicini spesso non si guardano negli occhi, e non tutti sono rivolti con lo sguardo verso l’oratore.

L’affaticamento è quindi dovuto al disagio provocato da questa vicinanza “fisica” ma anche dall’eccitazione cerebrale persistente che viene prodotta quando i volti rappresentati sullo schermo rientrano nella fovea, la parte centrale del nostro campo visivo.

Carico cognitivo

su Zoom, il comportamento non verbale rimane complesso, ma gli utenti devono lavorare di più per inviare e ricevere segnali

BAILENSON: “NONVERBAL OVERLOAD: A THEORETICAL ARGUMENT FOR THE CAUSES OF ZOOM FATIGUE”

Mentre nelle interazioni faccia a faccia la comunicazione non verbale fluisce naturalmente, nelle videochiamate le persone controllano in maniera accurata e cosciente il proprio comportamento e pongono particolare attenzione sia all’invio che alla ricezione dei segnali non verbali.

Per quanto riguarda l’invio dei segnali, le persone sono portate, ad esempio, ad annuire in maniera esagerata e per qualche secondo, a spostarsi per rimanere centrati nel campo visivo della telecamera, e a guardare direttamente nella telecamera per stabilire un contatto diretto con chi è al di là dello schermo del pc. Si verifica quindi uno sforzo nel cercare di monitorare costantemente il proprio comportamento.

Per quanto riguarda la ricezione del segnale invece, nelle videoconferenze le persone non riescono a cogliere alcuni elementi indispensabili nell’interazione faccia a faccia, come ad esempio il movimento della testa e degli occhi, che sono fondamentali per segnalare i turni, gli accordi e i segnali affettivi. Al contempo le persone su Zoom devono essere in grado di interpretare alcuni segnali non verbali che hanno significati diversi in questo specifico contesto rispetto alle interazioni vis a vis. Ad esempio, nelle piattaforme di videochiamata i volti delle persone sono raffigurate in delle griglie, la cui posizione cambia sempre e, di conseguenza, è difficile capire se lo sguardo della persona è direzionato verso un altro membro della riunione o semplicemente verso le notifiche push del proprio pc.

Inoltre nella comunicazione tramite videochiamata le persone non possono raccogliere una serie di informazioni altrettanto importanti derivanti dalla posizione del corpo, dai movimenti delle gambe o dalla postura. Il controllo costante del proprio comportamento e la difficoltà nel cogliere i segnali non verbali aumentano il carico cognitivo dell’individuo necessario per stabilire una buona comunicazione.

Lo specchio

“Immagina sul posto di lavoro fisico, per l’intera giornata lavorativa di 8h, un assistente ti ha seguito in giro con uno specchio portatile e per ogni singola attività che hai svolto e ogni conversazione che hai avuto, si sono assicurati che tu potessi vedere la tua faccia in quello specchio. Sembra ridicolo, ma in sostanza è ciò che accade con le chiamate Zoom”

BAILENSON: “NONVERBAL OVERLOAD: A THEORETICAL ARGUMENT FOR THE CAUSES OF ZOOM FATIGUE”

Bailenson non sbaglia: nelle videochiamate è quasi sempre presente un feed della telecamera che mostra la nostra immagine in tempo reale, e per tutto il tempo della riunione non facciamo altro che guardarci e fissarci.

Sono stati condotti molti studi in psicologia per testare gli effetti del guardarsi allo specchio troppo a lungo. Bailenson ha riportato alcuni di questi mostrando come la situazione di eccessiva valutazione di sé e la tendenza a concentrarsi sulla propria immagine può produrre livelli elevati di stress e di ansia o addirittura indurre depressione.

Mobilità ridotta

Durante una chiamata zoom, le persone devono rimanere all’interno del frustrum per essere viste dagli altri […] e il più delle volte questo equivale a sedersi e guardare dritto davanti a sé.

BAILENSON: “NONVERBAL OVERLOAD: A THEORETICAL ARGUMENT FOR THE CAUSES OF ZOOM FATIGUE”

Il termine frustrum indica il campo visivo della telecamera caratterizzato da una forma conica:


vicino alla telecamera l’area inquadrata è molto piccola, mentre più ci si allontana, più l’area aumenta.

Durante la videochiamata l’utente per farsi vedere bene dagli altri partecipanti deve rimanere centrato all’interno del frustrum e abbastanza vicino allo schermo del computer in modo che il suo viso appaia abbastanza grande.

Tutto ciò comporta che la persona in videoconferenza debba restare quasi immobile di fronte al computer, attenuando il movimento che, secondo numerosi studi, aiuta ad aumentare le prestazioni. Uno studio dimostra infatti che camminare aiuta a stimolare la creatività e a trovare idee nuove, mentre altri studi provano che i bambini che gesticolano con le mani riescono a memorizzare più facilmente le regole della matematica.

In conclusione

La comunicazione in videochiamata seppur sembra molto simile alla comunicazione tradizionale vis a vis pone l’individuo in difficoltà a causa della mancanza di alcuni segnali non verbali. Questa difficoltà comporta un affaticamento mentale che ci porta a sentirci stanchi dopo tanto tempo passato in videochiamata.

Avete mai provato questa sensazione di affaticamento? Fateci sapere la vostra esperienza nei commenti.

Fonti:

IL FENOMENO DELLA “ZOOM FATIGUE”
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